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Il Consiglio di Stato e la revocabilità delle dimissioni

Il Consiglio di Stato interviene in una materia molto delicata in fatto di revocabilità delle dimissioni e lo fa con la sentenza n. 5384 del 27 settembre 2011. In sostanza, per la suprema autorità amministrativa le dimissioni volontarie del dipendente si perfezionano con l’accettazione delle stesse da parte dell’amministrazione e non possono essere revocate quando tale provvedimento sia stato assunto, anche se il dipendente non ne abbia ancora avuto formale comunicazione, attesa la natura non ricettizia dell’accettazione medesima.

Il Consiglio di Stato precisa, riferendosi alla Corte Costituzionale n. 417/1996 e n.92/1997, che il provvedimento di accettazione  ha carattere costitutivo, con conseguente effetto estintivo del rapporto di pubblico impiego al momento della sua adozione.

Ecco perché la volontà del dipendente dimissionario di revocare le dimissioni, manifestata nella domanda di revoca presentata successivamente all’accettazione delle dimissioni, è irrilevante per l’Amministrazione che non ha alcun obbligo di provvedere su una richiesta inammissibile, in quanto intervenuta quando si è già prodotto l’effetto estintivo del rapporto di impiego.

Non solo, non vale nemmeno invocare una sorta di giustificazione alle dimissioni; in effetti, come ha posto in evidenza il TAR, l’effetto estintivo si è prodotto indipendentemente dal fatto che le dimissioni volontarie fossero subordinate alla mancata concessione di un periodo di aspettativa per motivi familiari, atteso che il ricorrente nella fattispecie aveva subordinato l’efficacia delle dimissioni incondizionatamente al diniego di aspettativa.

Il Consiglio di Stato ricorda, ad ogni modo, che l’istituto dell’aspettativa per motivi di famiglia – in quanto diretto a soddisfare esigenze personali del dipendente attraverso l’interruzione delle prestazioni del servizio – è subordinato tanto alle esigenze generali dell’amministrazione, quanto a quelle specifiche del servizio: il dipendente non può vantare alcun diritto alla concessione dell’aspettativa, ma soltanto un interesse da valutarsi discrezionalmente dall’amministrazione.

L’Amministrazione di appartenenza ha giustificato la sua decisione proprio in virtù delle sue prerogative, ossia per specifiche esigenze del servizio e a ragioni organizzative del tutto ragionevoli e quindi non sindacabili.

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