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Il licenziamento e il periodo di comporto

Il nostro ordinamento prevede alcune garanzie per il lavoratore; in effetti, il codice civile è abbastanza preciso a proposito.

A questo riguardo l’articolo 2110 prevede che in caso d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, il rapporto di lavoro viene sospeso e che il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore malato se non sia scaduto il termine di conservazione del posto (cosiddetto termine di comporto) appositamente previsto dai contratti collettivi.

Il contratto collettivo definisce la durata del termine di comporto e ne identifica la tipologia.

Il comporto è di tipo secco o per sommatoria. Con la prima ipotesi, il comporto secco, si identifica il termine di conservazione del posto nel caso di un’unica malattia di lunga durata e, al contrario, con il comporto per sommatoria il termine di conservazione è dato dalla sommatoria di più malattie.

Al termine del periodo di comporto il datore di lavoro può procedere al licenziamento del lavoratore anche se risulta ancora malato.

In questa materia la Cassazione è intervenuta chiarendo che per licenziamento per superamento del periodo di comporto il datore di lavoro non è tenuto ad indicare i singoli giorni di assenza.

In effetti, in base alla sentenza n. 23920 del 25 novembre 2010 in relazione al ricorso di un lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto previsto dal contratto collettivo, pari a dodici mesi durante l’arco di ventiquattro mesi, la Corte di Cassazione ha evidenziato che il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non già ad un licenziamento disciplinare, bensì ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Solo impropriamente, riguardo a tale licenziamento, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze relative alla causale e trattandosi di eventi, quale l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta.

Per questa ragione il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee a evidenziare un superamento del periodo di comporto.

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