Whistleblowers: gli spifferai magici 

Secondo Wikipedia, il primo risale al 1564. Chi sono? I whistleblowers – cioè persone che denunciano abusi governativi o di grandi aziende. In molti casi licenziati, sempre perseguitati e, qualche

Inail, le malattie da stress lavoro-correlato

Le malattie che ricadono in questo ambito sono di certo un fenomeno complesso da valutare tanto che, grazie ad una indagine condotta dalla stessa Inail, in dieci anni ha riconosciuto solo il 13% delle oltre quattromila denunce presentate visto che l’onere della prova spetta all’interessato e risultano impossibili da circoscrivere perché possono avere rilevanza di tipo psico-somatica.

Il dato è stato fornito da Luigi Sorrentini, il direttore centrale delle prestazioni, nel corso di una audizione al Senato in una seduta dedicata al mobbing.

Inail, nella lotta al mobbing si insedia il Cug

 Il Cug, ossia il Comitato unico di garanzia, per la lotta contro il mobbing: dall’Inail un’iniziativa interessante per la lotta al mobbing nei luoghi di lavoro. Secondo le intenzioni dell’Inail, il Comitato nasce come punto di riferimento per le pari opportunità e per la valorizzazione del benessere di chi lavora.

Per il presidente Ninci

Un soggetto nuovo e con compiti ampi nel contrasto di ogni forma di violenza morale e di discriminazione

Prende l’avvio dalla sede Inail di via IV novembre a Roma una nuova iniziativa che mira a difendere i diritti dei lavoratori contrastando ogni iniziativa che pongano in essere pratiche di mobbing.

Il mobbing e la corte di Cassazione

La Suprema corte con la sentenza dello scorso 21 dicembre 2010 n. 44803 ha voluto dare ulteriori indicazioni sul mobbing nei luoghi di lavoro visto che, ad oggi, non esiste ancora nessuna legge in materia che inquadri il fenomeno.

La Corte di Cassazione ha deciso che le vessazioni subite sul luogo di lavoro poste in essere attraverso atti moralmente violenti e psicologicamente minacciosi non sono da considerarsi mobbing (articolo 612-bis codice penale), ma sono da far rientrare nella sfera del reato di violenza privata.

Nel caso oggetto della decisione, un capo officina è stato denunciato da un operaio con qualifica di meccanico per maltrattamento.

Il tribunale di primo grado, e quello di appello, avevano condannato il capo officina per maltrattamenti continuati condannandolo alla pena di otto mesi.

Indennità di disoccupazione, alcuni casi particolari

L’indennità di disoccupazione è concessa ai lavoratori che perdono il proprio posto di lavoro in modo indipendente dalla propria volontà.

Il Legislatore è, però, intervenuto anche per regolare casi particolari che, seppur presentano dimissioni di tipo volontarie, presentano dei vizi.

Così, in caso lavoratrici madri che si dimettono durante il periodo in cui esiste il divieto di licenziamento o di padri lavoratori che si dimettono durante la durata del congedo di paternità e fino al compimento del 1° anno di età del bambino, le dimissioni non precludono il diritto all’indennità di disoccupazione.

Per quanto concerne i lavoratori che si dimettono per giusta causa, l’Inps ha già, a suo tempo, ribadito il suo orientamento indicato nella sentenza 269/2002 della Corte Costituzionale, che prevede il pagamento dell’indennità ordinaria di disoccupazione anche quando vi siano state dimissioni di questo tipo così come indicate dalla giurisprudenza.

Inail, il lavoratore e il mobbing

L’organizzazione pubblica che deve garantire la tutela contro il rischio infortunistico contratto sul lavoro è senza dubbio l’Inail.

Non solo, lo stesso istituto deve anche garantire ad ogni lavoratore assistenza in caso di malattia professionale.

Queste particolari prestazioni sono previste espressamente da appositi istituti normativi, quali il decreto 1124/1965 e il decreto 38/2000. Il legislatore ha espressamente previsto che per malattia professionale deve intendersi qualsiasi malattia di cui sia comunque provata la causa di lavoro.

Ora, per avere una visione più chiara occorre comprendere la posizione dell’Inail sul delicato tema delle patologie psichiche determinate dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro.

Burnout: cos’è e chi coinvolge?

 Il termine burnout è stato utilizzato per la prima volta negli anni Trenta nello sport. Questo termine era utilizzato per descrivere la condizione fisica di alcuni atleti che, avendo esaurito tutte le loro energie, non avevano alcuna possibilità di recupero.

Attualmente il termine è utilizzato nel campo della psicologia del lavoro per indicare una sindrome. La sindrome da burnout studiata in maniera approfondita dalla psichiatra C. Maslach, è una manifestazione sintomatologica che colpisce le persone che svolgono lavori che richiedono uno stretto contatto con gli utenti del servizio. Il burnout, insieme al mobbing, è una condizione che negli ultimi anni ha interessato molto gli studi in psicologia del lavoro.

I professionisti che sono maggiormente esposti al rischio di sviluppare questa sindrome sono spesso impiegati in tutte quelle professioni definite di “relazione d’aiuto” includenti oltre che una prestazione professionale anche un coinvolgimento personale. Fanno parte delle professioni di relazione d’aiuto tutte le attività che s’iseriscono nell’area sanitaria, assistenziale, educativa, sociale, ecc (medici, infermieri, insegnanti, educatori, poliziotti, ecc.).

Le dimissioni per giusta causa e indennità di disoccupazione

L’Inps, il maggiore istituto previdenziale italiano, con la circolare n. 97 del 2003 ha deciso di accogliere l’orientamento indicato nella sentenza n. 269/2002 della Corte Costituzionale nella quale si prevedeva il pagamento dell’indennità ordinaria di disoccupazione anche nel caso di dimissioni per giusta causa.

Infatti, la Corte Costituzionale ha stabilito che le dimissioni riconducibili a giusta causa comportano, al pari del licenziamento, uno stato di disoccupazione involontaria.

L’Inps, attraverso la sua circolare, ha cercato di dare delle indicazioni più precise ritenendo che, sulla base di quanto finora indicato dalla giurisprudenza, di considerare per giusta causa le dimissioni determinate dal mancato pagamento della retribuzione o a seguito di molestie sessuali nei luoghi di lavoro.

Dimissioni volontarie? Nessuna indennità di disoccupazione

L’Inps con messaggio n. 16825/2010 ha chiarito che l’indennità di disoccupazione non spetta al lavoratore che si dimette volontariamente, così come prevede la Legge n. 448 del 1998.

Secondo l’articolo 34 l’indennità di disoccupazione per dimissioni volontarie non comporta nessun obbligo per l’istituto previdenziale.

In effetti, il contenuto della legge è abbastanza chiaro perchè stabilisce che la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni intervenuta con decorrenza successiva al 31 dicembre 1998 non dà titolo alla concessione della indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali di cui al regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155, e successive modificazioni e integrazioni, e con requisiti ridotti di cui al decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160, e successive modificazioni e integrazioni.

Mobbing

 È stato lo scienziato etologo Konrad Lorenz a coniare nei primi anni settanta il termine mobbing per rappresentare un comportamento di alcune specie animali che accerchiano un proprio simile aggredendolo chiassosamente in gruppo per cacciarlo dal branco.

Il mobbing indica, nella specie umana, un maltrattamento psicologico e una comunicazione avversa nell’ambito lavorativo prolungati nel tempo da parte di uno o più individui contro un singolo.

Colui che subisce mobbing è schiacciato e privo di sostegno e rischia di incorrere in problemi legati alla salute psico-fisica nonché alla perdita del lavoro.

Vi sono diversi tipi di mobbing:

  • verticale: è effettuato da un superiore nei confronti di un subordinato o viceversa
  • orizzontale: tra pari grado
  • collettivo: attuato come strategia aziendale mirata a ridurre o razionalizzare gli organici e rivolto a gruppi numerosi di persone
  • doppio mobbing: si realizza quando la vittima opprimere la famiglia di tutte le sue problematiche. La prima fase di comprensione lascia il posto ad una fase di distacco e di isolamento anche familiare del mobbizzato
  • esterno: sono le organizzazioni sindacali che dipendenti che desiderano fare carriera a colpire il datore di lavoro con pressioni e minacce

Danno da mobbing: la Suprema Corte ribadisce i parametri oggettivi

Nel nostro paese non esiste una legge organica contro il mobbing e il fenomeno viene individuato e ostacolato dagli organi giudiziari.

Non esiste poi una definizione precisa del fenomeno e la Corte di Cassazione in una recente sentenza, n. 7382 del 26 marzo 2010, ha  precisato, o ribadito, la sua posizione in materia.

Secondo la Corte per mobbing, riconducibile alla violazione degli obblighi derivanti al datore di lavoro dall’art. 2087 del codice civile, deve intendersi una condotta non corretta nei confronti del lavoratore tenuta dal datore di lavoro, o del dirigente, protratta nel tempo e consistente in reiterati comportamenti ostili, che assumono la forma di discriminazione o di persecuzione psicologica da cui consegue la mortificazione morale e l’emarginazione dei dipendente nell’ambiente di lavoro, con effetti lesivi dell’equilibrio fisiopsichico e della personalità del medesimo.

Ordine di servizio, quali caratteristiche deve avere?

Un ordine di servizio è uno strumento utilizzato dalla Pubblica Amministrazione per richiedere una prestazione lavorativa in maniera coattiva; ovvero è un’ingiunzione al dipendente di violare le norme contrattuali. È bene ricordare che in giurisprudenza non esistono, se non in determinate situazioni, comunicazioni orali ma per la tutela del dipendente e dell’azienda stessa occorre che queste siano scritte.

Può succedere che per sopperire ad un servizio pubblico risulti necessario intimare ad un dipendente l’inizio o il proseguo di un’attività. Quando? Poniamo il caso che un dipendente abbia concluso il turno di lavoro ma la persona che deve prendere il suo posto non si presenta. La direzione aziendale dopo aver constatato l’impossibilità a coprire la funzione con un’altra persona potrebbe intimare il proseguo dell’attività lavorativa allo stesso dipendente.

Lo strumento utilizzato per chiedere questa prestazione extra è appunto l’ordine di servizio.