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Legittimità dei licenziamenti collettivi, tra leggi e interpretazioni

 La legge che disciplina i licenziamenti collettivi è stata più volte modificata e integrata da interpretazioni a volte contrastanti tra loro.

La legge n. 223/91 è stata infatti modificata, per esempio, con il D. Lgs dell’8 aprile 2004 n. 110 che ha esteso la disciplina anche ai datori di lavoro in precedenza esclusi, vale a dire alle organizzazioni dei datori di lavoro senza scopo di lucro quali i sindacati, le fondazioni o i partiti purché occupino più di 15 dipendenti e che intendono procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro con almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni.

In questo modo il datore di lavoro è obbligato ad avviare la procedura in sede sindacale e successivamente, in sede amministrativa, ovvero avanti la Direzione Provinciale del Lavoro di appartenenza.

Le disposizioni dettate dalla legge n. 110/04 sono state introdotte a seguito di una sentenza di condanna della Corte di Giustizia Europea (causa C-32/02) nei confronti dell’Italia in quanto la normativa nazionale non aveva rispettato la Direttiva Comunitaria n. 98/59 non includendo tra i destinatari tutti i datori di lavoro.

Ultimamente sono poi seguìte due decisioni giurisprudenziali.

Con sentenza 16215/2009 la Suprema Corte ha ribadito che, sebbene il datore di lavoro ha l’obbligo di indicare le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare,  il rispetto della procedura di licenziamento non si esaurisce nella trasmissione degli elenchi e dalla comunicazione dei criteri concordati.

Il lavoratore ha invece il diritto di conoscere con chiarezza le motivazioni del datore di lavoro in modo da non lasciare ombre interpretative sulla decisione in modo che si possa identificare con chiarezza che il destinatario del provvedimento sia solo lui e non altri.

Un’altra decisione non meno importante è attribuita alla Corte d’Appello di Napoli (1° aprile 2009). Secondo il giudice è legittimo il licenziamento collettivo anche per ridurre il costo del lavoro perché nella legge si menziona non solo l’ipotesi di riduzione ma anche quella di trasformazione dell’attività lavorativa. In questo modo è ritenuto applicabile anche quando non sussista un problema di crisi aziendale.

Inoltre, è anche legittimo considerare l’età pensionabile o la prossimità del pensionamento come criterio oggettivo da utilizzarsi per la scelta dei dipendenti.

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