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Professione interprete: il percorso di studi e le opportunità di lavoro

La professione di interprete è senza dubbio molto affascinante e richiesta. Per avere maggiori informazioni abbiamo deciso di incontrare la Dottoressa Gloria Mina di Assointerpreti.

1) Qual è il percorso di studi richiesto a chi desidera diventare interprete?

Laurea in interpretazione presso le facoltà titolari di tali cattedre. Potete dare uno sguardo ai siti dell’Università di Trieste e di Forlì, nonché a quello della Scuola Civica di Milano.

2) Quali sono le lingue più richieste?

Dipende dall’ambito in cui si deciderà di lavorare. Se in istituzioni, oltre alle “classiche” lingue europee, sono richieste lingue magari poco utilizzate ma che hanno DIRITTO di esprimersi (vedere Unione Europea); se in aziende, dipenderà dai Paesi con cui l’azienda ha rapporti; se come free-lance, l’inglese – in tutte le sue declinazioni che ben poco hanno a che vedere con quello “della Regina” – è ormai una lingua veicolare che spesso “cannibalizza” le altre. Molti clienti, infatti, tendono a risparmiare invitando oratori francofoni, germanofoni, scandinavi, ispanofoni ecc. ad intervenire in inglese. Fortunatamente c’è ancora chi privilegia un’esposizione più ricca e corretta nella lingua materna dell’oratore.

Si assiste ad un ritorno del russo, ovviamente all’ascesa del cinese e di altre lingue orientali. Nell’ambito dei Tribunali, delle Questure ecc. sono richiestissime le lingue dell’Est europeo e l’arabo.

3) E’ un settore in cui lavorano principalmente donne o anche uomini?

Sicuramente c’è una maggioranza di donne (questione di sviluppo degli emisferi cerebrali, ma anche di possibilità di gestire lavoro e famiglia in parallelo): gli uomini sono più numerosi nelle istituzioni, privilegiando spesso il “posto fisso”.

4) Perchè ad un professionista conviene iscriversi ad Assointerpreti?

L’essere membro di un’Associazione dà più forza ed autorevolezza al singolo ed implica il rispetto di regole che tutelano l’interprete come persona e come professionista. Inoltre è in atto un movimento di riconoscimento delle professioni autonome (cfr COLAP, ACTA…) che sta facendo la differenza fra iscritti e non iscritti.

4) Quanto lavora in media un interprete ed in quali ambiti?

Anche qui, grande variabilità fra “funzionari” di istituzioni, dipendenti assunti da ditte e free-lance. Per questi ultimi si riscontra, in generale, una certa “stagionalità”, con lavoro più intenso in autunno e primavera. Altra differenza è data dalla clientela: privati o intermediari, con tutte le oscillazioni dovute alle condizioni politico-economiche della propria zona di attività. A spanne, 120 giornate/anno sono un risultato lusinghiero, ma non raggiungibile sempre né da tutti. Non va trascurato, inoltre, che molti interpreti insegnano, proprio per assicurarsi un reddito fisso ed un trattamento pensionistico non riconosciuto agli interpreti fino a pochi anni fa (quando siamo stati ammessi alla gestione separata INPS), e/o sono anche traduttori. Anche gli ambiti variano: da quello istituzionale a quello aziendale, dai convegni internazionali ai Consigli d’Amministrazione, dalle deposizioni legali agli interventi operatori in diretta, dalle simultanee in TV alle visite di fabbriche…e sono solo alcuni esempi! La flessibilità e la capacità di adattamento sono l’essenza dell’interprete.

6) Cosa richiedete voi come Associazione ai vostri interpreti?

Olltre ad una quota associativa annuale, il rispetto di norme deontologiche e di lavoro che non screditino la professione ma, al contrario, le valgano un sempre più ampio riconoscimento a livello nazionale ed internazionale.

Grazie per la disponibilità!

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