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Disoccupazione giovanile: con la crisi si vive sempre più in famiglia

 Nel nostro Paese lo scorso anno molti lavoratori in età matura hanno perso il posto di lavoro e si sono “rifugiati” nell’ombrello della cassa integrazione per poter andare avanti, seppur a fatica. Decisamente peggio è però andata ai giovani, i quali a causa molto spesso di un lavoro precario si sono ritrovati né studenti, né occupati e soprattutto senza ammortizzatori sociali. In base ad un Rapporto dell’Istat sulla situazione dell’Italia nel 2009, nel nostro Paese ci sono 1,9 milioni di giovani che hanno lasciato la scuola e che sono anche senza lavoro; insomma, non studiano, non sono occupati e, per forza o per scelta, vivono nella casa di mamma e papà. Questi 1,9 milioni di giovani rientrano nella categoria dei cosiddetti “bamboccioni“, ma è giusto ritenere che molti di questi non abbiamo optato per la “carriera del mammone” per scelta, ma solo perché sul territorio ci sono poche opportunità di lavoro, e perché riprendere un percorso di studi, magari universitario, è troppo costoso ed i soldi in tasca sono pochi.

L’Istat ha così rilevato un tasso di occupazione giovanile che è sceso al 44% per effetto, tra l’altro, di 300 mila giovani occupati che lo scorso anno hanno perso il posto di lavoro; una quota parte di questi ha cercato o sta cercando di riprendere gli studi a causa degli scarsi sbocchi occupazionali, ma la stragrande maggioranza è andata ad infoltire l’esercito dei “bamboccioni“.

La crisi, inoltre, rispetto al passato picchia duro, e con maggiore intensità, per quei giovani che hanno un basso livello di istruzione; per questi, infatti, le probabilità di occupazione si riducono in un contesto che vede le imprese assumere solo figure specializzate con un’adeguata formazione professionale e, spesso, anche con una laurea. E se un giovane ha la fortuna di lavorare, comunque c’è da far fronte alla precarietà; l’Istat, al riguardo, infatti, ha rilevato come nel nostro Paese un giovane su tre, di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, abbia un lavoro atipico rispetto ad una quota pari all’8% di precariato da parte della restante quota di popolazione occupata.

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