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Lavorare in Svizzera dopo il no al referendum sul salario minimo

 La Svizzera è da sempre in Europa uno dei paesi esteri più ambiti in cui cercare lavoro. Coloro che aspirano infatti a trasferirsi all’estero scelgono la nazione elvetica soprattutto in virtù del suo alto tenore di vita, della qualità dei servizi offerti e dei buoni stipendi che in genere è possibile percepire, molto più alti di quelli di alcune nazioni vicine. Certo, la Svizzera è anche un paese non proprio economico dal punto di vista del vivere quotidiano e della spesa media delle famiglie: vi è cioè una certa proporzione tra retribuzione e spese. 

Lavorare in Svizzera – Opportunità e mercato del lavoro

In questi ultimi tempi la Svizzera è tornata ampiamente sotto i riflettori mediatici per due eventi in particolare. Da una parte, dopo quasi un secolo, ha aderito al protocollo OCSE per la fine del segreto bancario, che veniva osservato sin dagli anni Trenta, dall’altra, ancora più recentemente, è stata impegnata in un referendum che ha fatto molto discutere svizzeri e europei.

Lavorare in Svizzera – Cosa cambia per i frontalieri dopo il referendum

Lavorare in Svizzera dopo il referendum sul salario minimo

In Svizzera di è infatti votato la settimana scorsa per l’approvazione o meno del salario minimo, ovvero per l’introduzione di retribuzioni nazionali legali per tutte le professioni. Come è noto, infatti, le retribuzioni in Svizzera non vengono decise sulla base di contratti collettivi nazionali e non esiste ancora una legge sul salario minimo, ma gli stipendi vengono erogati sulla base di accordi individuali, aziendali o settoriali a seconda dei casi.

I sindacati, invece, e alcuni partiti di stampo più popolare volevano attraverso questo referendum introdurre un salario minimo legale da 22 franchi l’ora, ovvero circa 18 euro euro l’ora. Ed è proprio questo ultimo particolare che ha fatto molto discutere gli europei, perché a conti fatti in Svizzera si sarebbe ricevuta, se la proposta fosse passata, una retribuzione minima di circa 4 mila franchi svizzeri al mese, ovvero circa 3250 euro mensili. Una cifra che ha fatto sicuramente invidia a moltissimi.

Gli svizzeri però con il loro voto hanno rinunciato a questa agevolazione e soprattutto gli ambienti del governo e dell’imprenditoria si sono opposti al varo della misura. Il fronte del no sull’introduzione del salario minimo ha infatti ottenuto un consenso di oltre il 60 per cento. 

Con grande rammarico, si può presupporre, di cittadini come quelli tedeschi, che per legge percepiscono un salario minimo da soli 8 euro l’ora o di quelli francesi, per cui il salario minimo è pari a 9,5 euro l’ora. Al contrario, invece, se avesse vinto il fronte del sì, la Svizzera avrebbe avuto il salario minimo più alto del mondo. 

Secondo i sindacati e i promotori del referendum il salario minimo avrebbe favorito circa 330 mila lavoratori, cioè il 9 per cento del totale, impiegati in settori come il commercio al dettaglio, la ristorazione, i servizi alberghieri, l’economia domestica, l’agricoltura in cui la retribuzione non arriva a 22 franchi l’ora. Il fronte del no afferma invece che l’introduzione della misura avrebbe sfavorito i frontalieri e avrebbe addirittura potuto indurre molte aziende svizzere  a delocalizzare in altri paesi. Con una disoccupazione al 3 per cento e un’economia solida, tuttavia, sarebbe stato un peccato.

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