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Il licenziamento del pubblico dipendente per doppio lavoro

 La Corte di Cassazione si è pronunciato sull’incompatibilità del doppio lavoro, peraltro non autorizzato, e la compatibilità dello status di pubblico dipendente.

Infatti, la Corte di Cassazione, attraverso la sentenza n. 20857/2012, ha affermato che il dipendente pubblico non può esercitare attività di commesso presso un negozio di una parente, se non espressamente autorizzato dalla propria Amministrazione, anche se non è prevista la corresponsione di un compenso ed è effettuata in modo discontinuo.

Non solo, il licenziamento è stato deciso a seguito della recidiva, o aggravante, sanzionato in precedenza sempre dall’ente di riferimento.

Infatti, l’aggravante che legittima il licenziamento del lavoratore pubblico, ad avviso della Suprema Corte, sta nel fatto che quest’ultimo prestava la propria attività anche durante l’orario di lavoro e nei periodi di malattia: la stessa dipendente era già stata sorpresa per la stessa ragione e le era stata comminata una sanzione disciplinare.

Si ricorda, e ciò che era poi emerso in sede dibattimentale, che la stessa dipendente non aveva mai fatto richiesta, in deroga al regolamento, di essere autorizzata al lavoro ‘esterno’.

Per la dipendente il lavoro svolto presso la sorella era a titolo gratuito e rivestiva carattere di saltuarità allo scopo di dare “una mano nella gestione del negozio in fase di liquidazione”.

Di parere contrario la Corte di Cassazione. Infatti, per la Suprema Corte le norme che regolano il contratto dei dipendenti pubblici prevedono il divieto di cumulo con lavori ‘extra’, indipendentemente “dalla sussistenza o meno di una remunerazione” e dalla “continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della pubblica amministrazione”.

Per la Corte, infatti, l’obbligo

di fedeltà va collegato con le regole di correttezza e buona fede di cui all’articolo 1175 e 1375 del codice civile e che la Corte di legittimità ha sempre affermato che è possibile senza autorizzazione la partecipazione in società agricole a conduzione familiare, purché l’impegno risulti modesto, non abituale o continuativo e che solo un’attività caratterizzata da intesità, continuità e professionalità potrebbero turbare la regolarità del servizio o attenuare l’indipendenza del lavoratore ed il prestigio della Pubblica Amministrazione

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