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Referendum sul lavoro, ecco cosa c’è da sapere sui quattro quesiti

Nelle giornate dell’8 e 9 giugno, i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque referendum abrogativi, strumenti che consentono di eliminare parzialmente o totalmente una legge.

Se uno dei quesiti riguarda la modifica delle norme per l’ottenimento della cittadinanza italiana, gli altri quattro, promossi dalla CGIL, si concentrano sul mondo del lavoro.

Cosa chiedono i primi due quesiti del referendum sul lavoro?

Tali quesiti sono spesso presentati in modo sbrigativo come una via per ripristinare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e annullare il Jobs Act, la riforma del lavoro varata nel 2015 dal governo Renzi. Tuttavia, la realtà di questi quesiti è più articolata e i loro effetti concreti potrebbero essere più contenuti di quanto annunciato.

Il primo quesito mira ad abrogare parte del Jobs Act, eliminando il contratto a tutele crescenti e le norme sui licenziamenti che, per gli assunti dopo il 2015, spesso escludono il reintegro in caso di licenziamento illegittimo, sostituendolo con un indennizzo. Va però notato che il contratto a tutele crescenti è stato modificato più volte da interventi legislativi successivi (come l’aumento dell’indennizzo da parte del governo Conte I) e da sentenze della Corte Costituzionale, rendendo la sua forma attuale diversa da quella originaria. Un’eventuale vittoria del “sì” non comporterebbe un ritorno all’articolo 18 originario, ma alla precedente riforma Fornero del 2012, che già limitava il reintegro a favore di un risarcimento. Paradossalmente, l’indennizzo massimo previsto dalla Fornero (24 mensilità) sarebbe inferiore a quello attuale (36 mensilità), e il reintegro resterebbe possibile solo per casi specifici come i licenziamenti discriminatori, applicandosi comunque solo alle aziende medio-grandi.

Il secondo quesito propone di rimuovere il tetto massimo di sei mesi di indennità per licenziamenti ingiustificati nelle piccole imprese (meno di quindici dipendenti). L’obiettivo è aumentare le tutele per questi lavoratori, consentendo al giudice di stabilire l’indennizzo caso per caso, senza vincoli economici predefiniti, pur non eliminando la disparità di trattamento rispetto ai dipendenti delle grandi aziende.

Terzo e quarto quesito del referendum sul lavoro

Il terzo quesito interviene sui contratti a termine, chiedendone la limitazione a esigenze specifiche o sostituzioni (come la maternità). Si fa riferimento a un decreto del Jobs Act, ma anche questa disciplina è stata più volte rimaneggiata. Oggi, i contratti a termine fino a dodici mesi non richiedono causale, mentre è necessaria tra i dodici e i ventiquattro mesi. Il referendum reintrodurrebbe l’obbligo di causale per tutti i contratti a termine, con una durata massima di 24 mesi, pena la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, riportando la normativa a una situazione simile a quella del periodo 2001-2012, con un potenziale aumento del contenzioso.

Infine, il quarto quesito affronta la sicurezza sul lavoro, proponendo di estendere la responsabilità dell’azienda committente in caso di infortuni o malattie professionali dei dipendenti in appalto. Attualmente, la responsabilità del committente è esclusa se i danni derivano da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore. L’abrogazione estenderebbe questa “responsabilità solidale”, incentivando i committenti a scegliere appaltatori più attenti alla sicurezza e garantendo un risarcimento più ampio ai lavoratori, anche quelli non coperti da Inail o Ipsema.

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