I precari con meno di mille euro mensili

 I lavoratori precari, in media, sopravvivono con 836 euro al mese e, in totale, sono più di 3 milioni di lavoratori, per la precisione 3.315.580, con punte di 927 per gli uomini e 759 euro per le donne. Lo studio della CGIA di Mestre ha pure posto in evidenza che solo il 15% risulta laureato e, la sorpresa, l’amministrazione pubblica è il principale datore di lavoro.

Diminuiscono i crediti per le imprese e aumentano gli acquisti di Bot

 La CGIA di Mestre solleva un problema spinoso visto che, nonostante i 225 miliardi di euro ricevuto dalla banca centrale europea, le banche hanno deciso di ridurre il credito destinato alle famiglie di più di 1 miliardo di euro e di circa 7 miliardi alle imprese per concentrarsi sull’acquisto di titoli di Stato a lungo periodo; infatti, la quota di finanziamento destinato a questa attività è passata ai 98 miliardi di euro con un aumento del 44%.

Le critiche della CGIA di Mestre sulla tassazione e il peso sul lavoro

 In base alle analisi svolte dalla CGIA di Mestre lo Stato centrale fa il pieno delle tasse lasciando agli enti locali l’obbligo di tagliare le spese imponendo sacrifici ai propri cittadini.

In effetti, sempre secondo la CGIA di Mestre i Governi Berlusconi e Monti hanno imposto per l’anno in corso manovre correttive pari a 48,9 miliardi: 40,2 di nuove entrate e 8,7 di tagli alla spesa. Queste manovre comportano un maggiore introito nelle casse dello Stato centrale fino all’84,4% delle maggiori entrate, anche se, poi, in materia di  tagli, invece, la situazione si “ribalterà” completamente.

Ecco l’identikit del precario

 La CGIA di Mestre ha voluto, in occasione della giornata nazionale contro la precarietà, fare una fotografia del lavoratore precario e il risultato non è per nulla incoraggiante. In effetti, secondo lo studio della CGIA locale lo stipendio è, in media, di 836 euro al mese, solo il 15% ha una laurea, la Pubblica amministrazione è il suo principale datore di lavoro e nella maggioranza dei casi lavora nel Mezzogiorno (35,18% del totale).

La platea dei lavoratori atipici è costituito da dipendenti a temine involontari, da dipendenti part time involontari, da collaboratori che presentano contemporaneamente 3 vincoli di subordinazione –  monocommittenza, utilizzo dei mezzi dell’azienda e imposizione dell’orario di lavoro – e da liberi professionisti e lavoratori in proprio (le cosiddette Partite Iva) che presentano in contemporanea i 3 vincoli di subordinazione.

Il peso delle tasse e contributi sugli stipendi

 Secondo i dati diffusi dalla CGIA di Mestre il peso dei contributi previdenziali e le imposte pesano per non meno del 50% sull’ammontare complessivo: un operaio occupato nell’industria con uno stipendio mensile netto di 1.226 euro costa al suo titolare ben 2.241 euro.  Questo ultimo importo è dato dalla somma della retribuzione lorda (1.672 euro)  e dal prelievo a carico del datore di lavoro (pari a circa 568 euro).

Il lavoratore dipendente è il più tartassato d’Europa

 Il peso delle tasse locali non sembra fermarsi tanto che ciascun italiano può vantare un carico fiscale di non meno di 1230 euro.  Infatti, da uno studio della CGIA si apprende che i lombardi sono quelli più tartassati visto che possono vantare ben otto città tra le prime dieci italiane: al primo posto Varese con una pressione tributaria di 1,714 euro e 1.681 Lecco seguono poi Bergamo, Monza e Bologna, ma chiudono la graduatoria nazionale Caltanisetta, con 789 euro pro capite, Agrigento, con 767 euro e Lanusei con 671 euro.

Lo studio condotto dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre ha analizzato il “peso”, che ricade sui portafogli dei cittadini italiani, della pressione tributaria locale: l’indicatore è definito dalla sommatoria delle entrate tributarie versate da tutti i contribuenti al Comune, alla Provincia e alla Regione in rapporto alla popolazione residente.

Strategie del governo Monti per non aumentare il debito pubblico

 La perplessità arriva dalla CGIA di Mestre; infatti, per l’associazione territoriale lo Stato non pagherebbe le imprese per non incidere sul debito pubblico visto che le imprese  a seguito di forniture, servizi od opere pubbliche eseguite avanzano dallo Stato oltre 70 miliardi di euro, ovvero oltre 4 punti percentuali del Prodotto Interno Lordo, PIL.

I tecnici della Camera di Commercio di Mestre si riferiscono al manuale del SEC95 che definisce le regole contabili che valgono per tutti i Paesi dell’Unione Europea: i debiti commerciali verso le imprese private non devono essere contabilizzati nel bilancio pubblico. Gli effetti sulle casse pubbliche si fanno sentire solo nel momento in cui tali debiti vengono saldati, alimentando così il fabbisogno pubblico e peggiorando di conseguenza il rapporto tra debito e Pil.

Il cambio del regime per i contribuenti minimi in campo IVA

 Dal primo gennaio 2012 si cambia pagina; infatti, da quella data i contribuenti minimi che non rientrano nei superminimi, ossia forfait del 5%, ritornano contribuenti normali ai fini IVA.

Per questa ragione, in sede di dichiarazione, è necessario , per i contribuenti in regime normale Iva che erano già attivi nel 2011, se dal 2012 passano al nuovo regime dei superminimi (forfait del 5%), nel modello Iva 2012 devono compilare il rigo VA14 barrando la casella relativa.
Ricordiamo, ad ogni modo, che i “vecchi minimi” sono le persone fisiche che hanno iniziato l’attività prima del 2008 e che devono determinare l’eventuale Iva detraibile sulle merci in rimanenza e sui beni strumentali.

L’Iva per la rettifica dovuta dai contribuenti che, da soggetti “normali” Iva sono passati, dal 2008 al 2011, al regime dei minimi, doveva essere versata  come prima o unica rata  entro il termine previsto per il versamento del saldo Iva per l’anno precedente a quello di applicazione del regime; le rate successive, invece, dovevano essere  versate  entro i termini del saldo dell’imposta sostitutiva dell’Irpef.

Dal decreto Semplificazioni una nuova stangata alle imprese

 Con le nuove addizionali previste dal decreto Semplificazioni del governo Monti le imprese rischiano di pagare un tributo complessivo pari a 3.5 miliardi di euro o almeno queste sono le valutazioni previste dalla CGIA di Mestre. A questo proposito Giuseppe Bertolussi, il segretario della CGIA, ha osservato che

Lo sblocco dei tributi locali e regionali previsto per l’anno di imposta 2012 dal recente decreto sulle semplificazioni fiscali rischia di tramutarsi in una vera e propria stangata per le imprese del Centro-Nord

Il centro studi della CGIA è arrivata a questa cifra dopo aver letto e valutato la Relazione illustrativa allegata al decreto Semplificazioni

Se le Regioni, ormai sempre più a corto di risorse finanziarie, decideranno di aumentare l’aliquota Irap di un punto, portandola al limite massimo del 4,82% l’aggravio fiscale sulle imprese sarà di 3,5 miliardi di euro

Con l’iPhone le imprese devono pagare il canone, discutibile iniziativa della RAI

 Secondo la notizia diffusa dalla CGIA di Mestre la RAI starebbe chiedendo alle imprese, attraverso una lettera apposiatmente predisposta, il pagamento del canone speciale RAI dovuto dalla imprese, lavoratori autonomi, enti pubblici, enti pubblici non economici ed enti privati in base al Regio decreto del 1938 visto che l’articolo1 richiede che chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni, è obbligato al pagamento del canone di abbonamento.

La norma prevista dalla legge 246 del 1938 impone il pagamento a  chiunque possieda apparecchi “atti o adattabili” alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, al di fuori dell’ambito familiare, ovvero, sempre secondo la CGIA di Mestre, basta la presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche, di un dispositivo idoneo a sostituire l’impianto aereo o di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici, fa presumere la detenzione o l’utenza di un apparecchio radioricevente.

Alla ricerca del posto fisso e le richieste delle imprese

Posto fisso o meno ma sta di fatto che le imprese sono alla ricerca disperata di figure professionali difficili da reperire; in effetti, nel corso del 2011, le imprese italiane si sono lamentate per la difficoltà di trovare sul mercato del lavoro 45.250 posti di lavoro per diversi motivi: dal numero ridotto di candidati che hanno risposto alle inserzioni (pari a circa il 47,6% del totale) fino all’impreparazione di chi si è presentato al colloquio di lavoro (pari al 52,4%).

Il mito del posto fisso, la situazione in Europa

Il problema del precariato non è solo italiano ma è diventata una piaga europea per via dei Paesi coinvolti e dalle cifre in gioco. In effetti, i lavoratori precari, a tempo determinato sono passati da 63 a 124 nell’arco di soli 7 anni, dal 2003 al 2010, cifre sicuramente impressionanti, e non va meglio la disoccupazione che nello stesso periodo è salita a 16,5 milioni di persone.

Gli Uffici europei classificano i lavoratori precari tenendo conto delle tre differenti tipologie, ossia a tempo determinato, part time e lavoro parasubordinato e l’Italia si rispecchia perfettamente nella media europea.

Lavoratori sempre più in affanno, studio della CGIA di Mestre

I lavoratori italiani e le loro famiglie sono sempre più in affanno e la situazione peggiora ogni giorno; in effetti, dal mese di settembre 2008, anno di inizio della crisi, e fino a tutto lo stesso mese del 2011 si calcola che l’indebitamento medio delle famiglie italiane è aumentato del 36% e, in termi assoluti, si stima un importo medio di 20mila euro.

La notizia arriva dalla CGIA di Mestre che ha posto in evidenza la situazione per ogni regione italiana ponendo in risalto che le famiglie più in difficoltà si trovano nella provincia di Roma per un importo medio pari a 29.287 euro, mentre alla seconda posizione troviamo la provincia di Lodi seguita a ruota da Milano per un importo di 28,251 euro: il  tutto per un indebitamento complessivo di 503 miliardi di euro.

Trovare lavoro in azienda: piccolo è bello

 Trovare lavoro in una grande azienda, magari una multinazionale. E’ questo in Italia il sogno di molti giovani, spesso freschi di laurea e con grandi ambizioni; ma molto spesso il sogno rischia di rimanere tale visto che i giovani disoccupati sono tantissimi, circa il 30%, e non ci sono sufficienti opportunità di lavoro per garantire piena occupazione. Eppure sono le piccole realtà imprenditoriali quelle che in Italia assorbono maggiormente le richieste di personale. A metterlo in risalto è stata la Cgia di Mestre, rilevando nello specifico come le maggiori probabilità di lavoro in Italia coinvolgano le aziende che hanno meno di 50 dipendenti. Da uno studio dell’Associazione degli artigiani mestrina è non a caso emerso come nel 2010 le previsioni di assunzione, che sono state dichiarate dagli imprenditori, si siano attestate a quota 802 mila, di cui quasi 503 mila, corrispondenti al 62,7% del totale, hanno riguardato proprio imprese aventi un numero di dipendenti inferiore a 50.