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Trovare lavoro in azienda: piccolo è bello

 Trovare lavoro in una grande azienda, magari una multinazionale. E’ questo in Italia il sogno di molti giovani, spesso freschi di laurea e con grandi ambizioni; ma molto spesso il sogno rischia di rimanere tale visto che i giovani disoccupati sono tantissimi, circa il 30%, e non ci sono sufficienti opportunità di lavoro per garantire piena occupazione. Eppure sono le piccole realtà imprenditoriali quelle che in Italia assorbono maggiormente le richieste di personale. A metterlo in risalto è stata la Cgia di Mestre, rilevando nello specifico come le maggiori probabilità di lavoro in Italia coinvolgano le aziende che hanno meno di 50 dipendenti. Da uno studio dell’Associazione degli artigiani mestrina è non a caso emerso come nel 2010 le previsioni di assunzione, che sono state dichiarate dagli imprenditori, si siano attestate a quota 802 mila, di cui quasi 503 mila, corrispondenti al 62,7% del totale, hanno riguardato proprio imprese aventi un numero di dipendenti inferiore a 50.

Insomma, per un giovane che cerca lavoro occorre partire dalla consapevolezza del fatto che “piccolo è bello“, e che quindi è molto spesso meglio candidarsi per piccole aziende piuttosto che puntare sui grossi nomi. Altrettanto spesso, inoltre, se si è molto capaci e preparati, presso le PMI è possibile sin dall’inizio percepire uno stipendio superiore rispetto alla multinazionale che magari non riesce a valorizzare e “pesare” a pieno le potenzialità del candidato all’assunzione.

Secondo quanto dichiarato dal segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi, la presenza capillare nel nostro Paese di tantissime piccole e microimprese non rappresenta un elemento di arretratezza, come magari ritengono alcuni osservatori, ma una modernità che è frutto di un radicale mutamento a livello economico, tecnologico e sociale che è avvenuto in Italia negli ultimi 30 anni. Contestualmente nello stesso arco di tempo il numero delle grandi imprese è sceso non per colpa delle PMI, ha aggiunto il segretario della CGIA di Mestre, ma per “l’incapacità dei nostri grandi gruppi di reggere l’urto della concorrenza internazionale“.

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