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Burnout: cos’è e chi coinvolge?

 Il termine burnout è stato utilizzato per la prima volta negli anni Trenta nello sport. Questo termine era utilizzato per descrivere la condizione fisica di alcuni atleti che, avendo esaurito tutte le loro energie, non avevano alcuna possibilità di recupero.

Attualmente il termine è utilizzato nel campo della psicologia del lavoro per indicare una sindrome. La sindrome da burnout studiata in maniera approfondita dalla psichiatra C. Maslach, è una manifestazione sintomatologica che colpisce le persone che svolgono lavori che richiedono uno stretto contatto con gli utenti del servizio. Il burnout, insieme al mobbing, è una condizione che negli ultimi anni ha interessato molto gli studi in psicologia del lavoro.

I professionisti che sono maggiormente esposti al rischio di sviluppare questa sindrome sono spesso impiegati in tutte quelle professioni definite di “relazione d’aiuto” includenti oltre che una prestazione professionale anche un coinvolgimento personale. Fanno parte delle professioni di relazione d’aiuto tutte le attività che s’iseriscono nell’area sanitaria, assistenziale, educativa, sociale, ecc (medici, infermieri, insegnanti, educatori, poliziotti, ecc.).

La sindrome del burnout, caratterizzata da sintomi quali esaurimento emotivo (irritabilità, apatia, sensazione di svuotamento, ecc), ridotta realizzazione personale (sentimenti di inadeguatezza, scarsa autostima, ecc) e depersonalizzazione (atteggiamento cinico, distaccato, rifiuto, ecc), è legata alla continua esposizione ad eventi e situazioni che mettono la persona di fronte ad uno stress lavorativo continuo.

È possibile identificare quattro fasi dello sviluppo della sindrome:

  1. La prima fase (preparatoria) è legata ad un entusiasmo idealistico che si esprime attraverso la scelta di un lavoro di tipo assistenziale e denota un forte senso di idealizzazione verso l’attività scelta.
  2. Nella seconda fase (stagnazione) il lavoratore iniziando a consapevolizzare la realtà lavorativa si accorge ben presto che le sue iniziali aspettative non coincidono con le mansioni da lui svolte. Questo scarto favorisce una drastica riduzione dell’entusiasmo iniziale.
  3. Nella terza fase (frustrazione) il lavoratore inizia a manifestare i primi segni del burn-out.
  4. L’ultima fase è caratterizzata da un forte senso di apatia e assenza di empatia che conduce verso una vera e propria morte professionale.

In questa evoluzione è possibile riscontrare una costellazione di disagi psico-fisici quali bassa reazione allo stress, somatizzazioni, alterazione del sonno, peggioramento delle relazioni anche a livello personale, alterazione dell’umore, ecc.

Esiste inoltre un burn-out del sistema che coinvolge l’intero sistema lavorativo. Il burn-out di sistema potrebbe essere considerato come l’insieme dei burn-out individuali. In questi casi assistiamo ad un fenomeno collettivo che investe tutta l’organizzazione e che rende quest’ultima un’organizzazione altamente disfunzionale.  È importante sottolineare che, al fine di evitare un collasso dell’organizzazione stessa, la prevenzione del burn-out dovrebbe basarsi su un’accurata valutazione dei rischi per i lavoratori.

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