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Il datore di lavoro non può ridurre lo stipendio al lavoratore come azione risarcitoria

La Corte di Cassazione ha stabilito con la sentenza n. 896 del 17 gennaio 2011 che in caso di comportamento illecito del dipendente recante un danno all’azienda, l’imprenditore ha diritto sì di esigere il risarcimento del danno, ma questo non può essere effettuato riducendo lo stipendio al lavoratore perché i minimi inderogabili stabiliti dal contratto di lavoro non sono riducibili.

La Corte di Appello di Catania aveva accolto le osservazioni del datore di lavoro perché il contratto collettivo di lavoro non era vincolante poichè le parti non erano iscritti alle organizzazioni stipulanti.

Per questa ragione, i minimi previsti dalla contrattazione collettiva non potevano essere assunti necessariamente a parametri di quella retribuzione equa e sufficiente prescritta dall’articolo 36 della Costituzione.

Non poteva nemmeno essere considerata inadeguata la retribuzione percepita dal lavoratore che si distaccava per appena l’11 per cento da quella indicata dalla contrattazione. La Corte di Appello di Catania rigettava perciò la sentenza di primo grado che aveva individuato la retribuzione adeguata applicando le tariffe sindacali al 100%.

Sempre per la Corte di Catania, il giudice di primo grado avrebbe dovuto anche tenere presente che il datore di lavoro era titolare di un piccola azienda operante in una situazione economica in crisi. La sentenza sottolineava, infine, che, sul piano  della qualità della prestazione, si doveva tenere conto che, pur nel rispetto della presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, il lavoratore era imputato dei reati previsti dall’articolo 314 c.p. e articolo 640 c.p., comma 1, per fatti commessi nell’attività lavorativa e che ne erano emerse circostanze tali da incrinare il rapporto di fiducia che doveva sussistere fra datore di lavoro e dipendente.

Contro questa decisione il lavoratore aveva così proposto ricorso alla Corte di Cassazione denunciando la nullità della sentenza per violazione e disapplicazione e/o falsa applicazione ed erronea interpretazione della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) e dell’articolo 36 della Costituzione.

A questo punto, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 17 gennaio 2011, ha anche messo in evidenza che un’azienda concessionaria di pubblici servizi tenuta per legge a corrispondere una retribuzione non inferiore ai minimi della contrattazione collettiva, non può corrispondere una retribuzione inferiore dell’undici per cento rispetto alle tabelle minime e non corrispondere nemmeno la 13 e la 14 mensilità.

Non solo, per la Cassazione non è fondamentale, ai fini della congruità della retribuzione, il fatto che il lavoratore  è accusato di fatti penalmente rilevanti commessi nel corso della prestazione di lavoro.

Per questa ragione un datore di lavoro non può ridurre la retribuzione ad un proprio dipendente, ma semmai può chiedere e ottenere un’azione di risarcimento nella sede più opportuna.

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