La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 2056 del 27 gennaio 2011, ha ritenuto “correttamente motivata la sentenza del giudice di merito che, nell’affermare la legittimità di una sanzione disciplinare espulsiva, ha ritenuto la gravità della condotta del lavoratore consistita nella violazione di disposizioni specifiche del datore di lavoro sulla sicurezza informatica”.
Il lavoratore aveva, infatti, consentito l’utilizzo del personal computer di lavoro ad una persona non autorizzata, e quindi aveva dato la possibilità ad un estraneo all’azienda di accedere indebitamente ad aree del tutto riservate ai soli dipendenti aziendali.
Si è trattato di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, infatti la nozione di giustificato motivo è disciplinata dall’art. 3 della Legge n. 604 del 1966 secondo la quale “il licenziamento è legittimo quando il lavoratore incorre in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, una violazione contrattuale così grave da far ritenere che la continuazione del rapporto di lavoro sia pregiudizievole per il conseguimento degli obiettivi del datore di lavoro”.
Ai sensi dell’art. 3, Legge n. 604 del 1966, il giustificato motivo di licenziamento consiste in:
– ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (c.d. giustificato motivo oggettivo);
– un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro (c.d. giustificato motivo soggettivo).
Il licenziamento per giustificato motivo si differenzia da quello per giusta causa in quanto consente la prosecuzione del rapporto di lavoro sia pure nei limiti del periodo di preavviso.
Inoltre, per la determinazione dell’inadempimento notevole, è necessario far riferimento alle violazioni dei doveri di diligenza ed obbedienza al datore di lavoro, nonché quelli derivanti dalle direttive aziendali, come nel caso in oggetto, nel quale la normativa aziendale prevista in tema di sicurezza prevedeva il divieto esplicito.
Nel caso esaminato, il comportamento del lavoratore, non giustificato dal dover rispettare gli ordini del direttore o superiore gerarchico, ha fatto venir meno l’elemento fiduciario.
Per maggiori informazioni si rinvia alla Cassazione.