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Il licenziamento per giustificato motivo, un nuovo pronunciamento della Cassazione

 La Corte di Cassazione, attraverso la sentenza n. 7 dello scorso 2 gennaio 2013, ha affermato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo dove alla base del quale c’è il rifiuto del lavoratore di trasferirsi in un’altra società del gruppo, con meno di 15 dipendenti, senza specificare che la mancata accettazione avrebbe comportato il suo allontanamento e senza che l’azienda provvedesse a verificare la possibilità di adibire il dipendente ad altre mansioni.

In precedenza la Corte di Appello aveva ritenuto che il datore di lavoro non avesse fornito la relativa prova dell’impossibilità di una ricollacazione del proprio dipendente presso una delle Aziende o stabilimenti in mansioni equivalente visto che la stessa occupava più di trecento dipendenti.

In realtà, il datore di lavoro aveva solo espresso la difficoltà del matenimento dei livelli occupazioni, da 465 a 319 lavoratori, e che dopo il licenziamento lo stesso datore non aveva provveduto a nuove assunzioni e che la stessa lavoratrice aveva rifiutato una sua ricollocazione presso un’altra società del Gruppo.

La stessa Corte, attraverso l’esame del libro matricola dell’Azienda, aveva evidenziato che prima e dopo il licenziamento la stessa Azienda aveva proceduto all’assunzione di nuovi impiegati di cui con la stessa mansione e livello d’inquadramento della stessa licenziata.

Per la Suprema Corte è necessario che il datore di lavoro deve osservare l’articolo 5 della legge 604/1966 che pone a carico del datore di lavoro l’onere della prova della sussisstenza del giustificato motivo di licenziamento e che è ormai consolidato che è al datore di lavoro incombe la prova dell’impossibilità di adibire lo stesso lavoratore da licenziare ad altre mansioni equivalenti svolte all’interno dell’organizzazione aziendale.

Per la Corte

il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determoanto da ragioni tecniche, oragnizzaztive produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro senza che il giudice possa sindacare la scelta deo criteri di gestione dell’impresa espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’articolo 41 deòòa Costituzione. Pertanto, spetta al giudice il controllo all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro e l’onere probatorio grava sul datore di lavoro

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