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Chiarimenti sul TFR negli Enti pubblici non economici

In arrivo dal Ministero del lavoro alcune utili indicazioni in materia di trattamento di fine servizio e trattamento di fine rapporto negli Enti pubblici non economici.

In effetti, la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 20 del 17 giugno 2011, ha risposto ad un quesito dell’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, in merito alle modalità e ai termini di erogazione del Trattamento di fine servizio e del Trattamento di fine rapporto ex art. 13 Legge n. 70/1975 e art. 3, Legge n. 140/1997 anche alla luce della recente normativa in materia di stabilizzazione finanziaria.

Ricordiamo, a questo proposito, che i dipendenti degli Enti pubblici non economici, così come prevede la normativa di riferimento, di cui alla L. n. 70/1975 hanno diritto, alla cessazione del rapporto di lavoro, ad una indennità per fine servizio – liquidata direttamente dagli Enti medesimi – denominata trattamento di fine servizio ovvero trattamento di fine rapporto, con applicazione delle rispettive regole, sulla base di quanto disciplinato nel D.P.C.M. 20 dicembre 1999.

La modalità di liquidazione di tale indennità è disciplinata dall’art. 3, comma 2 della L. n. 140/1997, che prevede la erogazione dei trattamenti di fine servizio “comunque denominati” decorsi sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.

A tale disposizione si aggiunge una recente disciplina, prevista dall’art. 12, commi 7-10 D.L. n. 78/2010, convertito dalla L. n. 122/2010, che prevede il pagamento rateale di tali trattamenti nel caso di prestazioni superiori al limite di 90.000 euro per la quota che superi tale limite.

La Direzione Direzione Generale per l’Attività Ispettiva nella risposta pone in evidenza che l’articolo 3, comma 5 L. n. 140/1997 prevede un termine di liquidazione più favorevole nelle ipotesi di dimissioni per raggiungimento di limiti di età o di servizio e nelle ipotesi di licenziamento (rectius “collocamento a riposo”) per il raggiungimento dell’anzianità massima di servizio, per inabilità o decesso del dipendente.

Per la Direzione, attraverso una interpretazione letterale della norma, non rientra l’ipotesi di cessazione dal rapporto di lavoro per raggiungimento dell’anzianità contributiva massima di 40 anni: l’anzianità contributiva è da intendersi quale concetto più ampio dell’anzianità di servizio.

In effetti, essendo l’anzianità contributiva riferita a tutta la posizione contributiva del dipendente – che può comprendere la contribuzione presso altri fondi di previdenza obbligatoria ovvero contribuzione da riscatto o figurativa al di fuori del rapporto di servizio con lo Stato – e deve essere riferita all’appartenenza nell’amministrazione pubblica.

La Direzione, in base all’articolo 72, comma 11, D.L. n. 112/2008, nella versione attualmente vigente, prevede che per gli anni 2009, 2010 e 2011 (quindi ancora per tutto l’anno 2011), la pubblica amministrazione può recedere dal rapporto di lavoro, nel rispetto di un preavviso di sei mesi e con la salvaguardia della decorrenza del trattamento pensionistico, nei riguardi di quei dipendenti che raggiungano una “anzianità massima contributiva” di 40 anni.

Per questa ragione, sempre per la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva, l’anzianità di servizio massima viene raggiunta anche nel momento in cui la medesima, sommata a tutta la restante contribuzione posseduta dal dipendente, permette il raggiungimento dei 40 anni di contributi, utili per il “collocamento a riposo d’ufficio” da parte della PA: in tal caso l’anzianità massima di servizio di cui alla L. n. 140/1997 si deduce da una norma di legge (l’art. 72, comma 11, D.L. n. 112/2008).

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