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Corte di Cassazione: l’azienda non può controllare l’accesso a Internet

Importante sentenza della Corte di Cassazione che proibisce al datore di lavoro di controllare con sistemi elettronici gli accessi ad Internet e alla posta del dipendente.

La sentenza ovviamente non va letta come un divieto assoluto di presenza di programmi di controllo o monitoraggio, ma è necessario che questi sistemi devono essere autorizzati e regolamentati richiamandosi al rispetto degli obblighi della privacy e garantendo la necessaria correttezza dei sistemi di rilevamento.

A questo proposito l’azienda deve dotarsi di idonei strumenti in grado di garantire il corretto funzionamento, quali l’uso di regolamenti, l’emissione di notizie informative, la nomina di un responsabile che ne garantisca la corretta gestione e l’uso dei log file.

Non solo, l’azienda deve porre particolare attenzione per rispettare l’art. 8 dello Statuto dei lavoratori e dell’art. 4 lettera A) e D) del decreto legislativo n. 196/2003.

Con sentenza n. 4375 del 23 febbraio 2010, la Corte di Cassazione ha infatti respinto il ricorso di un’azienda che aveva licenziato una dipendente perché tramite un’apparecchiatura elettronica erano stati riscontrati degli accessi ad internet per scopi personali, nonostante il divieto imposto dal regolamento aziendale.

Già nel 2003, con sentenza n.1048, il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano dichiarava l’illegittimità dei licenziamenti intimati in data 28-6-2002 e 27-9-2002, con le conseguenze di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Il Tribunale di Milano contestava l’addebito perché il programma di controllo informatico centralizzato violava l’art. 4 della legge n. 300/1970, con la conseguente inutilizzabilità dei dati acquisiti; infatti, i dati raccolti non erano utilizzabili dato che il sistema elettronico di rilevamento non era un sistema di verifica ad uso difensivo.

In sostanza, il controllo deve riguardare l’attività lavorativa, come previsto dall’art. 4 della legge n. 300 del 1970.

Inoltre, esiste anche un altro punto da non sottovalutare. I fatti contestati non erano definiti in modo specifico e mirato; infatti, non erano stati indicati orario e data dei singoli collegamenti.

Inoltre, il soggetto non aveva precedenti disciplinari e la sanzione disciplinare comminata dall’azienda era sproporzionata rispetto all’eventuale danno causato.

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