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Privatizziamo l’Inail

 Insomma, privatizziamo o no il nostro istituto pubblico per la tutela e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro? Il presidente dell’Inail non ha dubbi: è un errore privatizzare il nostro istituto di riferimento e lo fa intervenendo sul quotidiano “Italia Oggi” ribadendo la sua netta avversione per ogni ipotesi si questo tipo perché ciò non comporterebbe una riduzione del costo assicurativo e una maggiore tutela ma, al contrario, inserire l’Inail in una logica di libero mercato provocherebbe un aumento dei costi.

Non solo, per Sartori è in gioco il valore della prevenzione perché l’Inail non è in contrasto con la libera concorrenza, ma anzi la stessa Corte Costituzionale non condivide questa visione perché è in contrasto con i valori della nostra Carta costituzionale così come la posizione della Corte di giustizia dell’Unione Europea che vede nessun contrasto al libero mercato perché l’istituto italiano della prevenzione è compatibile con i principi del Trattato sulla libertà di concorrenza perché l’Inail non svolge attività di impresa e che la copertura dei rischi di infortuni sul lavoro e da malattie professionali rientra nella previdenza sociale che gli Stati membri garantiscono.

Per Sartori, presidente Inail, il carattere solidaristico è incompatibile in un regime privatizzato.

L’INAIL si fonda su solide basi solidaristiche e applica un sistema di aliquote contributive non proporzionale all’effettivo rischio assicurato e, infine non prevede corrispondenza tra le prestazioni e i contributi pagati.

Valori solidaristici che difficilmente le compagnie private potrebbero garantire allo stesso modo,

non valutando la convenienza di ogni singola polizza e, in presenza di un rilevante numero di infortuni, aumentando nettamente i premi fino al rifiuto del cliente per i settori più a rischio

Non solo, l’Inail nel corso degli anni ha sempre più assunto nuove attribuzioni intervenendo anche nella prevenzione, riabilitazione, cura e reinserimento lavorativo del soggetto colpito. Un’attività che, grazie alla sua struttura flessibile – 20 milioni di posizioni gestite con nemmeno 10mila dipendenti – produce anche utili che vengono utilizzati per scopi sociali.

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