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Il datore di lavoro e il reato di estorsione

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 1284 del 19 gennaio 2011, è intervenuta a proposito della condotta dubbia di un datore di lavoro che, approfittando dell’attuale situazione di mercato, ha richiesto prestazioni lavorative non adeguatamente coperte da un punto di vista contrattuale e legislativo.

In effetti, secondo la Suprema corte integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi.

La Corte di Cassazione ha rigettato, ritenendolo inammissibile, il ricorso del datore di lavoro che riteneva non ravvisabili gli estremi del reato di estorsione mancando, secondo la posizione del datore, l’elemento materiale della minaccia e, quindi, lo stato di soggezione delle parti offese.

La decisione dei giudici di merito è stata ritenuta corretta e adeguata, poiché la Corte territoriale non solo ha ben chiarito in punto di fatto che il contegno e le espressioni reiteratamente adoperate avevano un’indubbia e specifica valenza intimidatoria e coartativa, ma ha anche ribattuto all’obiezione secondo la quale le lavoratrici non potevano sentirsi minacciate atteso che si erano rivolte al giudice del lavoro ed al sindacato.

I giudici di merito, al contrario, stabilivano che per configurarsi il reato di estorsione è sufficiente che la minaccia sia tale da incutere una coercizione dell’altrui volontà ed a nulla rileva che si verifichi un’effettiva intimidazione del soggetto passivo.

Non importa se i lavoratori, allo scopo di approntare le proprie difese, si siano rivolti alle organizzazioni sindacai e al giudice del lavoro.

Per questo motivo la Corte di Cassazione ritiene del tutto irrilevante che le parti offese, in seguito, si siano rivolte al giudice del lavoro per ottenere le proprie spettanze.

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