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Il contratto a tempo determinato, le norme dal 2013

 La Riforma Fornero ha introdotto delle novità nel contratto a tempo determinato allo scopo di limitarne l’abuso. Infatti, vengono previsti intervalli più lunghi nel caso di successione di contratti e un aumento del costo contributivo, ma ne è prevista una parziale restituzione al datore di lavoro in caso di stabilizzazione del rapporto.

Inoltre, nel contratto a tempo determinato è stata introdotta la possibilità di stipulare un contratto a tempo determinato senza l’obbligo della motivazione giustificativa, a condizione che sia la prima stipulazione e che il contratto non abbia una durata superiore ai 12 mesi; una norma valida anche in caso di prima missione con un contratto di somministrazione a termine.

Nel contratto a tempo determinato il periodo di 12 mesi non si può frazionare, quindi nel caso che il primo contratto a termine a-causale abbia durata inferiore i 12 mesi, si può procedere ad una successiva assunzione solo in presenza di motivazione giustificativa. E comunque, il contratto a termine stipulato senza giustificazione non può essere prorogato.

In alcuni casi e a determinate condizioni, le parti sociali possano escludere l’obbligo di giustificazione in caso di avvio di una nuova attività; lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; implementazione di un importante cambiamento tecnologico; fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; rinnovo o proroga di una commessa consistente.

In questi casi, il contratto a tempo determinato a-causale può essere instaurato per una durata superiore a 12 mesi e, forse, anche per i contratti successivi al primo, ma non può superare il limite del 6% della totalità dei lavoratori in forza all’azienda.

Se il rapporto di lavoro prosegue dopo la scadenza del termine, il periodo oltre il quale, per legge, il rapporto di lavoro a tempo determinato si converte in tempo indeterminato, viene portato da 20 giorni a 30 giorni nel caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi e da 30 giorni a 50 giorni nell’ipotesi di contratti di durata superiore a 6 mesi.

In caso di successive assunzioni con contratto a tempo determinato, gli intervalli obbligatori vengono aumentati da 10 a 60 giorni per i contratti con durata inferiore a 6 mesi e da 20 a 90 giorni per i contratti con durata superiore a 6 mesi; se non si rispettano gli intervalli, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. In caso di due assunzioni successive, senza soluzione di continuità, il rapporto viene considerato a tempo indeterminato a partire dalla data della stipula del primo contratto.

Anche in questo caso, la contrattazione collettiva può ridurre gli intervalli rispettivamente a 20 e 30 giorni nel caso in caso di avvio di una nuova attività; lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; implementazione di un importante cambiamento tecnologico; fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; rinnovo o proroga di una commessa consistente.

Inoltre, il contratto a tempo determinato si converte in tempo indeterminato se prosegue oltre 36 mesi, compresi proroghe o rinnovi, a causa della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti con lo stesso datore di lavoro. Si precisa che, nel computo dei 36 mesi, si calcolano anche i periodi di lavoro per lo stesso datore di lavoro in base ad un contratto di somministrazione a termine.

Per quanto riguarda l’indennità dovuta al lavoratore in caso di conversione a tempo indeterminato, l’importo da un minimo di 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ad un massimo di 12 mensilità soddisfa per intero ogni diritto del lavoratore.

Infine, sempre allo scopo di disincentivare l’assunzione di lavoratori con contratto a tempo determinato, dal 1° gennaio 2013 è dovuto un contributo addizionale pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Ne sono escluse le assunzioni per la sostituzione di lavoratori assenti, relative ad attività stagionali e nel settore pubblico.

Il contributo addizionale verrà restituito, in misura pari a 6 mensilità, se il contratto a tempo determinato viene stabilizzato senza soluzione di continuità alla scadenza del termine; nel caso che la stabilizzazione avvenga nei 6 mesi successivi al termine stabilito, l’importo restituito sarà ridotto in proporzione al periodo intercorso tra la cessazione del rapporto e la stipula del nuovo contratto.

APPROFONDIMENTI
*Contratto a termine, limiti e somministrazione a tempo determinato
*Contratto a tempo determinato, cosa cambia con la riforma

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