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Lavoro precario: giovani stufi tra co.co.pro. e tempo determinato

 Nel nostro Paese i giovani sono oramai stanchi di lavorare con contratti a tempo determinato, visto che le imprese, nonostante le capacità del lavoratore, puntano sempre di più sul contenimento dei costi occupazionali. Con la conseguenza che a scadenza di contratto stringono la mano al lavoratore che si ritrova a fare una gavetta, questa sì, a tempo indeterminato! L’insoddisfazione dei giovani emerge anche dalle pagine di “Gazzetta Del Lavoro” su Facebook visto che si fa tanto per attirare l’attenzione delle imprese con curriculum ricchi di esperienze lavorative e con una carriera universitaria brillante cui spesso si aggiunge anche un master. Ma ci sono anche tanti giovani che hanno compreso come lo scenario rispetto agli anni ’80, quelli dei posti fissi in banca, sia drasticamente cambiato a loro sfavore, ragion per cui da un lato non si smette di cercare il lavoro per cui magari ci si è diplomati/laureati, ma dall’altro si accettano anche lavori che non piacciono perché, scrivono i nostri lettori su Facebookla vita è fatta così“.

D’altronde l’attuale fase congiunturale non è delle migliori per il mercato del lavoro: gli ultimissimi dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) parlano chiaro visto che la disoccupazione giovanile oramai sembra prossima sfondare il livello 30%. La ripresa economica nel nostro Paese è non a caso al rallentatore, al punto che dopo il crollo del Pil lo scorso anno non sono pochi quelli che scommettono, anche per effetto della recente manovra economica, su una crescita zero dell’Italia per quest’anno. Qual è allora la ricetta per uscire da questa situazione che dal fronte occupazionale appare drammatica?

Ebbene, nelle nostre pagine su Facebook sono molti i lettori ad indicare nel sostegno alla piccola impresa la ricetta per garantire uno sviluppo economico sostenibile. D’altronde l’Italia in questi anni ha perso competitività a livello di grande impresa, a partire dalla chimica e passando per tanti altri settori dove lo straniero oramai controlla quote azionarie rilevanti di alcune aziende ex monopoliste. Non “salvare” il piccolo artigiano, il piccolo commerciante e la piccola impresa di servizi significa creare una vera e propria desertificazione dal punto di vista occupazionale in molte aree del nostro Paese. E questo di certo non ce lo possiamo permettere.

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