Le dimissioni per giusta causa e indennità di disoccupazione

L’Inps, il maggiore istituto previdenziale italiano, con la circolare n. 97 del 2003 ha deciso di accogliere l’orientamento indicato nella sentenza n. 269/2002 della Corte Costituzionale nella quale si prevedeva il pagamento dell’indennità ordinaria di disoccupazione anche nel caso di dimissioni per giusta causa.

Infatti, la Corte Costituzionale ha stabilito che le dimissioni riconducibili a giusta causa comportano, al pari del licenziamento, uno stato di disoccupazione involontaria.

L’Inps, attraverso la sua circolare, ha cercato di dare delle indicazioni più precise ritenendo che, sulla base di quanto finora indicato dalla giurisprudenza, di considerare per giusta causa le dimissioni determinate dal mancato pagamento della retribuzione o a seguito di molestie sessuali nei luoghi di lavoro.

Dimissioni volontarie? Nessuna indennità di disoccupazione

L’Inps con messaggio n. 16825/2010 ha chiarito che l’indennità di disoccupazione non spetta al lavoratore che si dimette volontariamente, così come prevede la Legge n. 448 del 1998.

Secondo l’articolo 34 l’indennità di disoccupazione per dimissioni volontarie non comporta nessun obbligo per l’istituto previdenziale.

In effetti, il contenuto della legge è abbastanza chiaro perchè stabilisce che la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni intervenuta con decorrenza successiva al 31 dicembre 1998 non dà titolo alla concessione della indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali di cui al regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155, e successive modificazioni e integrazioni, e con requisiti ridotti di cui al decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160, e successive modificazioni e integrazioni.

Le dimissioni annullate per confusione mentale

 Le dimissioni possono essere annullate se il lavoratore, sebbene non interdetto, provi di essere stato in uno stato, anche transitorio, di incapacità di intendere e di volere.

Lo ho stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8886 del 14 aprile che ha applicato i criteri stabiliti dall’articolo 428 del codice civile.

Infatti, la Suprema Corte ha ribadito che in caso di dimissioni date dal lavoratore che si trovi in uno stato di incapacità naturale, il diritto di riprendere il lavoro nasce con la sentenza di annullamento ex articolo 428 c.p.c., i cui effetti retroagiscono al momento della domanda, stante il principio secondo il quale la durata del processo non deve andare a detrimento della parte vincitrice. Solo da quel momento nasce il diritto alla retribuzione.

La certificazione dei contratti di lavoro nel Collegato

L’articolo 30 del Collegato lavoro, decreto 1167-B/bis, si occupa delle clausole generali e delle certificazione del contratto di lavoro.

Il concetto è semplice, le parti che sottoscrivono il contratto (datore di lavoro e lavoratore) possono dichiarare che il contenuto dello stesso corrisponde a verità ed è stato pattuito liberamente. Le commissioni di certificazione saranno i luoghi dove sarà possibile certificarli.

Al comma 3 del testo presente in Senato sono presenti disposizioni relative agli elementi presenti nei contratti collettivi e individuali di lavoro a cui il giudice deve far riferimento nei contenziosi relativi ai licenziamenti individuali.

Secondo il testo si dispone che il giudice, nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento, debba tener conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo, presenti nei contratti collettivi di lavoro ovvero, se stipulati con l’assistenza delle richiamate commissioni di certificazione, nei contratti individuali di lavoro.

Collegato lavoro, in Senato modifiche al decreto

La più importante organizzazione sindacale italiana, la CGIL, ha commentato negativamente le ultime modifiche apportate al testo ora fermo in commissione lavoro del Senato.

Ricordiamo che il collegato è ora in discussione al Senato in seguito all’approvazione da parte della commissione lavoro della Camera di importanti emendamenti che ne hanno modificato il testo.

Il segretario confederale della CGIL, Fulvio Fammoni, ha posto in evidenza, attraverso una sua dichiarazione, le modifiche apportate in commissione lavoro del Senato da parte della maggioranza di centro-destra.

Ora, secondo Fammoni, è possibile il licenziamento a voce per i lavoratori precari tanto che le modifiche apportate al testo confermano, sempre secondo il segretario confederale, la volontà di ridurre i diritti fondamentali dei lavoratori.

Le ingiurie verso il datore di lavoro non giustificano il licenziamento

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9422 del 21 aprile 2010, ha ribadito che in presenza di ingiurie verso il proprio datore di lavoro, il lavoratore non può essere licenziato senza che si proceda secondo i dettami dell’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.

Non può essere invocata, da parte del datore di lavoro, la giusta causa, anche in presenza in minacce e ingiurie o di gravi insubordinazione tanto da ledere l’elemento della fiducia che vige in ogni rapporto di lavoro.

Il datore di lavoro anche in presenza di questi elementi non può procedere, in maniera unilaterale, al licenziamento senza il necessario preventivo rispetto della procedura disciplinare appositamente prevista (articolo 7).

Il sindacato nelle multinazionali

La direttiva comunitaria n. 45 del 1994 ha previsto, per le imprese ed i gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, dei sistemi di confronto e di informazione al fine di tutelare i lavoratori secondo modalità rinviate alla contrattazione collettiva o, in caso di assenza, fissate da una disciplina suppletiva contenuta dalla direttiva stessa.

A questo scopo la direttiva istituisce i comitati aziendali europei (CAE), i quali sono soggetti di informazione e consultazione per le imprese transnazionali e rivestono un importante strumento per la rappresentanza dei lavoratori nelle imprese di dimensioni comunitarie, ancor di più nell’attuale scenario di crisi e di cambiamenti sociali ed economici in atto.

La direttiva n. 45, attuata con il decreto n. 74/2002, è stata poi modificata dalla Direttiva 2009/38CE, approvata nel mese di maggio dello scorso anno.

Congedi parentali, in arrivo nuova direttiva europea

Il 18 marzo scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il testo della nuova Direttiva europea sui congedi parentali (Direttiva n. 2010/18/EU dell’8/3/2010).

La nuova direttiva intende migliorare la legislazione comunitaria vigente in tema di protezione della maternità e congedo parentale.

Non solo, la Commissione suggerisce di valutare la possibilità di introdurre nuove forme di congedo per ragioni familiari, quali il congedo di paternità, il congedo in caso di adozione e il congedo per cure prestate ai familiari.

La Direttiva stabilisce che il congedo parentale è concesso per un periodo minimo di quattro mesi e, per promuovere la parità di opportunità e di trattamento tra uomini e donne, andrebbe previsto, in linea di principio, in forma non trasferibile.

Il contratto di lavoro intermittente

Il contratto di  lavoro intermittente, noto anche come lavoro a chiamata, è un particolare contratto di lavoro che pone il lavoratore a disposizione delle esigenze tecnico organizzative del datore di lavoro che decide liberamente se, e quando, utilizzarlo attraverso una chiamata, nei limiti espressi all’articolo 34 del decreto n. 276/2003.

In sostanza, il lavoratore svolge determinate prestazioni in modo discontinuo e, rispetto ad un contratto di lavoro di tipo subordinato, non esiste la predeterminazione della quantità della prestazione lavorativa.

Composizione delle liste di mobilità

 Le liste di mobilità sono degli speciali elenchi, così come prevede la legge n. 223/91, in cui trovano posto i lavoratori licenziati in attesa di un nuovo impiego.

Non tutti però possono entrare in queste liste. In effetti, le attuali disposizioni legislative consentono ai lavoratori licenziati con procedure collettive in aziende con oltre 15 dipendenti nei casi di cessazione, trasformazione o riduzione di attività o di lavoro di di poter usufruire di questo importante istituto di enorme rilevanza sociale.

Accanto alle procedure di licenziamento collettive, il Legislatore ha esteso questa possibilità anche ai lavoratori licenziati individualmente, per le stesse motivazioni, dalle imprese che abbiano in forza anche meno di 15 dipendenti.

Il Presidente della Repubblica respinge il Collegato lavoro

La notizia è stata diffusa con estremo interesse per via delle argomentazioni delicate che la legge solleva.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha chiesto alle Camere una nuova deliberazione in ordine alla legge: “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione degli enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”.

Infatti, il Presidente della Repubblica in sostanza chiede una nuova deliberazione avendo dichiarato perplessità circa l’estrema eterogeneità della legge e in particolare la complessità e problematicità di alcune disposizioni.

Collegato lavoro e i certificati di malattia

La Pubblica Amministrazione sta cambiando registro ed elimina il certificato medico di malattia cartaceo nel pubblico impiego.

Le disposizioni contenute all’interno del collegato lavoro prevedono che, secondo quanto stabilisce l’articolo 25, i certificati di malattia dovranno essere inviati attraverso un meccanismo di trasmissione telematica in carico alle strutture sanitarie (medici).

Infatti, il maggiore istituto previdenziale italiano, Inps, dal 1° gennaio 2010 trasmette in via telematica al datore di lavoro pubblico l’attestazione medica che ha ricevuto dal medico di base o dalla struttura sanitaria. Ora, per quanto stabilisce il decreto 165/2001 e modificato dalla legge 150/2009, entro luglio sarà obbligatorio, da parte dei medici, inviare per via telematica i certificati per le assenze da malattia nella pubblica amministrazione.

Inps: in scadenza l’indennità di disoccupazione

Il 31 marzo scade il termine per presentare all’ Inps la domanda per ottenere l’indennità di disoccupazione con i requisiti ridotti.

L’indennità erogata dall’istituto previdenziale intende dare un aiuto a tutti i lavoratori dipendenti che non hanno raggiunto il requisito minimo richiesto (non meno di 52 settimane negli ultimi due anni) per ottenere la disoccupazione ordinaria e copre i periodi di disoccupazione dell’anno precedente.

In modo particolare, è una provvidenza economica rivolta per chi ha svolto lavori brevi e discontinui, ad esempio le supplenze del personale precario della scuola privata.

Il licenziamento del lavoratore tossicodipendente

Questo è un tema particolare perché coinvolge la sfera privata di ogni persona.

Il lavoratore tossicodipendente a tempo indeterminato, il cui stato di tossicodipendenza sia accertato dall’ASL,  ha diritto alla sospensione non retribuita della prestazione lavorativa (aspettativa) al fine di partecipare a programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle Asl o di altre strutture terapeutico riabilitative e socioassistenziali così come stabilisce il DPR 1990/309.

La giurisprudenza ha da sempre affermato che la semplice dipendenza da sostanze stupefacenti non è di per sé una condizione sufficiente a legittimare il recesso dal contratto di lavoro ovvero il suo licenziamento.

Infatti, in base alla sentenza della Corte di Cassazione del 26 maggio 2001 n. 7192 e TAR del Lazio con sentenza n. 1573 del 2 marzo 2005, occorre accertare di volta in volta la condotta del dipendente e verificare se questa infrange definitivamente il rapporto fiduciario che si è instaurato con il proprio datore di lavoro.